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INTEGRATORI ALIMENTARI ENERGETICI E DI RECUPERO

INTEGRATORI ALIMENTARI ENERGETICI E DI RECUPERO

Integratori alimentari energetici e di recupero: ne parlano Alexander Bertuccioli e Marco Neri ne Manuale pratico di integrazione alimentare.

  

Insulina, indice glicemico e carico glicemico

 

L’assunzione di substrati energetici di natura glicidica è alla base della secrezione di insulina. L’insulina è un ormone peptidico prodotto dalle cellule β del pancreas delle dimensioni di 5808 Da (dalton), formato in origine come preproinsulina (11500 Da) a livello dei ribosomi del reticolo endoplasmatico di queste cellule e successivamente scisso in proinsulina (9000 Da) nello stesso reticolo endoplasmatico. La proinsulina viene ulte­riormente degradata a livello dell’apparato di Golgi formando insulina immagazzinata in granuli secretori. Nella sua conformazione finale, l’in­sulina si presenta come l’insieme di due catene di aminoacidi, unite da ponti disolfuro.

 

È uno dei principali ormoni a effetto anabolico, favorisce infatti la con­servazione delle sostanze energetiche in eccedenza. Facilita il deposito dei carboidrati come glicogeno a livello epatico e muscolare e la conversione e l’accumulo sottoforma di grassi di tutti gli zuccheri eccedenti che non possono essere immagazzinati come glicogeno. L’impatto dei glicidi inge­riti sulla risposta insulinica non deve essere valutato esclusivamente da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, considerando il timing legato ai processi di digestione e assorbimento caratteristici dei diversi ali­menti.

L’ingestione di un determinato alimento in misura di per sé non eccessiva da un punto di vista quantitativo potrebbe esserlo da un punto di vista qualitativo, in quanto capace di innalzare repentinamente il tasso glicemico ematico oltre le richieste energetiche e la fisiologica capacità di accumulo sottoforma di glicogeno, favorendo di fatto la sintesi e l’accu­mulo di lipidi. Questo parametro qualitativo è stato chiaramente definito con il concetto di indice glicemico (IG), ovvero la capacità di innalzare il glucosio ematico rispetto a un alimento preso come riferimento. L’indice glicemico viene ottenuto rapportando in percentuale l’area che sottende la curva glicemica ottenuta dall’alimento di rifermento e quella ottenuta dall’alimento da testare. In base a questa classificazione, gli alimenti ven­gono classificati come ad alto, medio e basso indice glicemico.

 

Classificazione indice glicemico degli alimenti

Basso

0-55

Medio

56-69

Alto

≥ 70

  

Per integrare il concetto qualitativo di indice glicemico con il concetto quantitativo, rappresentato dal contenuto di glicidi dei singoli alimenti, è stato coniato il concetto di carico glicemico (CG).

Il carico glicemico si ottiene moltiplicando l’indice glicemico per il con­tenuto in glicidi espresso in grammi di un alimento:

 

 

CG = IG / 100 x CHO (CHO = grammi di carboidrati contenuti nella porzione consumata.)

 

Calcolo del carico glicemico

 

In base al risultato ottenuto, gli alimenti sono nuovamente suddivisi in alto, medio e basso carico glicemico.

Classificazione carico glicemico degli alimenti

Basso

0-10

Medio

11-19

Alto

≥ 20

  

Un primo fattore da considerare è la presenza netta in mono e disac­caridi: molecole diverse hanno un impatto glicemico molto diverso, come è possibile verificare dalla tabella seguente.

Classificazione del carico glicemico di alcuni mono e disaccaridi

Molecola

CG

Fruttosio

26

Lattosio

57

Saccarosio

83

Miele

126

Glucosio

138

Maltosio

152

 

In base a queste considerazioni, gli alimenti ricchi in amilopectina avran­no un indice glicemico più elevato rispetto a quelli ricchi in amilosio.

  1. La presenza di fibre è un ulteriore aspetto fondamentale: le fibre, solu­bili e non, concorrono a un rallentamento dei processi digestivi che pos­sono condurre a una più graduale digestione e assimilazione dei glicidi.
  • Le fibre insolubili, contenute nei cereali integrali (nudi come il fru­mento e soprattutto vestiti come il farro e l’orzo), nelle verdure e nella frutta, una volta ingerite costituiscono una vera e propria “barriera fisica” che si frappone fra le sostanze a contenuto glicidico e gli enzimi deputati alla loro digestione, rallentandone l’attività e modulando di conseguenza l’assorbimento e la risposta glicemica. Questa costituisce un’applicazione vantaggiosa di sostanze gene­ralmente classificate da alcuni autori come “antinutrienti” .
  • Le fibre solubili, presenti in buone quantità nell’orzo (principal­mente β-glucano), nella verdura e nella frutta, una volta ingerite e processate con gli altri alimenti all’interno del digerente, tendono a fornire al materiale in digestione una consistenza viscosa, osta­colando anche in questo caso l’azione enzimatica e velocizzando il transito intestinale.

Entrambi questi fattori concorrono a modulare e ridurre l’assorbimen­to del glucosio.

  1. Un’altra caratteristica che concorre al controllo glicemico è il consumo di pasti misti. La concomitante presenza di grassi e proteine concorre a “complicare” i processi digestivi, dovendo includere l’azione di un corredo enzimatico di diverse proteasi, lipasi e l’azione emulsionante dei sali biliari. Questi processi concorrono a dilatare notevolmente le tempistiche di digestione di un pasto, causando di fatto un’assimila­zione più lenta e graduale dei glicidi rispetto a quanto accadrebbe con­sumando un pasto a base esclusivamente di carboidrati.
  2. Un’ulteriore caratteristica saliente è da ricercarsi nel tipo di prepara­zione generalmente utilizzato: i metodi di cottura semplici e veloci co­stituiscono un ulteriore vantaggio per quanto riguarda i cereali, le cui strutture amilacee vengono mantenute integre nelle cosiddette cottu­re “al dente”, richiedendo quindi tempi di digestione più lunghi; per

esempio, una preparazione di comuni spaghetti bolliti 10 minuti avrà un indice glicemico di 44, mentre lo stesso prodotto bollito per 20 mi­nuti avrà un indice glicemico di 64.

Tutti i succitati fattori agiscono sinergicamente nel determinare la ri­sposta glicemica caratteristica di un alimento. Una volta chiariti questi concetti, risulta semplice comprendere come parametri quali l’indice e il carico glicemico possano essere utilizzati per elaborare un piano alimenta­re funzionale a specifici obiettivi. Per esempio, considerando che l’insulina è uno dei principali ormoni a effetto anabolico, alimenti capaci di evocare una risposta glicemica medio-alta potranno essere utilizzati con successo nelle fasi di recupero post esercizio, in particolare contestualmente a pro­grammi di allenamento volti all’ipertrofia. Oppure, se si devono sostenere le necessità energetiche di un atleta in gara, un adeguato mix di molecole ad alto, medio e basso impatto glicemico sarà in grado di fornire nel tempo un costante apporto energetico. Se l’obiettivo dovesse invece essere il mi­glioramento della composizione corporea con perdita di tessuto adiposo, alimenti a basso impatto glicemico sono sicuramente la prima scelta.

 

Indice insulinico

 

Dopo avere illustrato le dinamiche relative a indice e carico glicemico è necessario, per fornire un quadro esaustivo relativo alle attuali conoscen­ze sul metabolismo glucidico, parlare di indice insulinico. L’indice insuli­nico è un parametro mediante il quale è possibile definire la produzione e di conseguenza il rilascio di insulina da parte dell’organismo in rispo­sta all’ingestione di un qualsiasi alimento (o di una qualsiasi miscela di alimenti), a prescindere dal contenuto in carboidrati. Idealmente, quin­di, l’indice insulinico permette di valutare l’impatto dei diversi alimenti (o miscele) sulle dinamiche metaboliche sotto due diversi punti di vista, “diretto” riferito ad alimenti che contengono carboidrati, “indiretto” rife­rito ad alimenti che non contengono carboidrati, contribuendo di fatto ad ampliare il ruolo dell’insulina quale ormone anabolico ad ampio spettro, con un’azione non strettamente carboidrato-dipendente.

 

Gli aspetti con­siderabili diretti, ovviamente, dipendono dalle dinamiche discusse nei paragrafi precedenti in relazione ai carboidrati, mentre quelli indiretti da caratteristiche biochimiche legate agli altri nutrienti, che li rendono co­munque in grado di stimolare il rilascio di insulina. La principale differenza tra questo indice e i due precedentemente esa­minati è che l’indice insulinico assume una valenza di tipo assoluto, in quanto valuta gli alimenti a partire da una quota isocalorica pari a 239 kcal (o 1000 kj, se valutata con l’unità di misura del sistema internazio­nale), sulla base della quale vengono considerati i tempi di assimilazione dell’alimento, o della miscela di alimenti, e l’ammontare della secrezione insulinica, il tutto naturalmente a parità del valore calorico precedente­mente definito. Sulla base dei dati sperimentali presenti in letteratura, è quindi stato possibile individuare le seguenti caratteristiche dei nutrienti:

 

Proteine

 

Gli alimenti proteici in genere sembrano avere un indice insulinico pra­ticamente sovrapponibile a quello degli alimenti amilacei quali i cereali integrali, mentre hanno un indice insulinico superiore a quello dei cereali raffinati (molto probabilmente questo fenomeno si verifica a cagione del maggiore contenuto di proteine degli alimenti integrali). In particolare, il latte e i suoi derivati sembrano avere un indice insulinico estremamente alto, paragonabile a quello di alimenti quali dolciumi o merendine, effetto talmente impattante da generare nell’ora successiva al pasto un’ipoglice­mia piuttosto marcata. Tale ruolo è coerente con il contributo insulinico alla sintesi proteica contestualmente a fattori quali GH e IGF1, fatto che spiega anche il ruolo insulinogenico di determinati aminoacidi, definiti appunto aminoacidi insulinogenici. Tra i principali, si rinvengono: - Arginina. - Fenilalanina. - Isoleucina. - Leucina. - Lisina. - Valina. - Glicina.

 

Lipidi

 

 I dati sperimentali suggeriscono che i lipidi, e di conseguenza i prodotti della loro digestione, singolarmente non alterino in maniera consistente

la secrezione insulinica, mentre le cose sembrano stare in maniera dia­metralmente opposta se somministrati contestualmente a carboidrati; in questo caso si riscontrano effetti opposti di glicemia e insulinemia:

 

- Glicemia: La contestuale somministrazione di lipidi e carboidrati sem­bra ridurla, in quanto per loro natura le molecole lipidiche ostacolereb­bero, o comunque renderebbero meno efficienti, i processi per l’assor­bimento dei carboidrati.

- Insulinemia: La contestuale somministrazione di lipidi e carboidrati sembra aumentarla.

 

Carboidrati

 

Vale quanto detto nei paragrafi inerenti all’indice glicemico, in quanto l’im­patto sulla secrezione insulinica dipende dai fattori in precedenza trattati, mentre l’abbinamento con i lipidi è stato discusso nel paragrafo precedente.

Alla luce dei suddetti dati, il pasto misto sembra costituire l’abbina­mento in grado di stimolare maggiormente la secrezione insulinica, tanto da raggiungere livelli 5-7 volte circa superiori a quelli che si otterrebbe­ro con l’ingestione di soli glucidi, il tutto con gli ovvi effetti metabolici derivanti dagli innalzati livelli di insulina che sono stati in precedenza illustrati.

 

Destrosio equivalenza

 

La destrosio equivalenza è un parametro che, valutando il grado di idro­lisi di una molecola glucidica in riferimento al destrosio, permette di quantificare la percentuale di idrolisi dei legami glicosidici presenti, for­nendo di fatto la quantità percentuale di zuccheri riducenti presenti in un carboidrato. Questa misura, oltre alle ovvie applicazioni industriali, permette di fornire un parametro qualitativo per integratori alimentari di natura glucidica. Alla luce di questi fatti si potrebbe essere portati a cre­dere erroneamente che la destrosio equivalenza sia direttamente correlata all’indice glicemico, ovvero che una bassa o una alta destrosio equiva­lenza corrispondano rispettivamente a un basso o un alto indice glicemi­co. In realtà le cose non stanno proprio così, in quanto, come chiarito nel paragrafo relativo, l’indice glicemico dipende da molti fattori che, al di là della mera lunghezza della catena glucidica, possono influire notevol­mente sull’entità di questo parametro, tra cui ricordiamo i più rilevanti ai fini dell’influenza sui tempi di assimilazione, che possono essere alterati in relazione a:

  • Composizione degli alimenti o dalle miscele di alimenti.
  • Rapporto tra amilosio e amilopectina.
  • Tempi di cottura.
  • Processi tecnologici di lavorazione dell’amido (es: idrolisi).
  • Diverse dinamiche del glucosio (rallentamento) e degli oligomeri (ac­celerazione) sullo svuotamento gastrico.

Inoltre, è opportuno ricordare che alcuni particolari polimeri (ad esem­pio alcuni oligomeri) del glucosio mostrano dinamiche di assorbimento più favorevoli. Alla luce di questi elementi, la destrosio equivalenza va valutata per quello che è, ovvero una misura del grado di polimerizzazio­ne e del peso molecolare della molecola. Perciò, una maggiore destrosio equivalenza corrisponde, senza implicazioni dirette sui tempi di assimi­lazione e, di conseguenza, sull’impatto glicemico, a:

  • Catene glucidiche più corte.
  • Maggiore potere dolcificante.
  • Maggiore solubilità.
  • Minore resistenza al calore.

A dimostrazione di ciò, basti pensare alle molecole come il vitargo che, pur avendo una bassa destrosio equivalenza, mostra un indice glicemico superiore a quello del glucosio e tempi di assimilazione estremamente rapidi.

Manuale pratico di integrazione alimentare