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TEORIA DELL’ALLUNGAMENTO MUSCOLARE

TEORIA DELL’ALLUNGAMENTO MUSCOLARE

Nel libro Enciclopedia dello stretching di Óscar Morán Esquerdo si parla di allungamento muscolare. Partiamo dalla teoria.

È bene iniziare lo studio dell’allungamento chiarendo una serie di concetti collegati ma non equivalenti. Il termine stretching si riferisce all’azione e all’effetto dell’allungamento, mentre possiamo definire allungamento lo stiramento di qualcosa che viene teso con forza per essere dilatato, un po’ come quando stiracchiamo braccia e gambe per eliminare l’intorpidimento. La flessibilità è, invece, la capacità di flettersi facilmente.

Le qualità fisiche basilari (chiamate anche “abilità”, sebbene l’autore preferisca il termine tradizionale) dell’uomo sono quattro: flessibilità, forza, resistenza e velocità. Gli allungamenti appartengono alla prima categoria.

 

Lo stretching è stato studiato e insegnato da alcuni grandi autori, come Ling, Buck e Medau. Intorno alla metà del XX secolo, alcuni autori di neurofisiologia estesero agli esercizi di stretching la tecnica di contrazione-rilassamento. Questo segnò l’inizio della tecnica P.N.F. (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation) e dello stretching moderno, reso popolare tra gli altri da Bob Anderson.

                                                                                 

Questo libro è un compendio di esercizi basati sulle diverse teorie dell’allenamento fisico in generale e della flessibilità in particolare.

 

Come allungarsi

 

Spesso si pensa che se lo stretching non provoca dolore non porti alcun beneficio. Vi è addirittura chi promuove movimenti che procurano dolore fine a se stesso in aree prossime alle estremità di giunture e legamenti. Altre teorie raccomandano i rimbalzi per raggiungere progressivamente un maggiore allungamento.

 

L’autore di questo libro appartiene a un’altra scuola di pensiero, che promuove un allungamento razionale, scientificamente provato ed efficace. Altrettanto valida è la teoria della soglia di stimolo nell’esercizio fisico, che può essere facilmente compresa grazie ai seguenti esempi:

 

  • Un allungamento troppo leggero non produrrà quasi alcun effetto nell’organismo né miglioramenti nella mobilità articolare.
  • Un allungamento troppo violento o esagerato produrrà traumi o, nel migliore dei casi, una contrazione muscolare protettiva che impedirà di migliorare la propria flessibilità.
  • Un allungamento giusto, che forzi la mobilità senza raggiungere la soglia del dolore o limiti pericolosi, non solo sarà

più sopportabile ma produrrà anche risultati migliori. Con “giusto” si intende un allungamento più intenso rispetto a quello provocato dalle normali attività quotidiane, che costituisce una sollecitazione, ma non provoca lesioni.

 

Nella maggior parte delle attività fisiche, per lo meno in quelle di una certa intensità, il riscaldamento è un imperativo. Lo stretching non fa eccezione. Alcune persone confondono lo stretching con il riscaldamento e non è insolito sentire atleti occasionali, o persino giornalisti sportivi, affermare che qualcuno si sta “riscaldando” quando invece sta facendo stretching.

 

Il riscaldamento generale porta diversi benefici, fra cui l’aumento del flusso sanguigno e l’innalzamento della temperatura corporea, due effetti vantaggiosi per chi si appresta a eseguire degli esercizi fisici; il riscaldamento mirato, invece, incrementa la quantità di sangue che raggiunge i tessuti che si intende allungare, nutrendoli e ossigenandoli.

 

Potremmo rendere conto delle differenti tecniche di stretching e focalizzarci sui punti di forza e i punti deboli di ognuna di esse, ma il lettore apprezzerà sicuramente di più che l’attenzione venga posta su quelle la cui efficacia è stata scientificamente provata e sulle loro modalità di esecuzione:

 

  1. Iniziate con una leggera attività aerobica che metta in moto il flusso sanguigno. Potete scegliere di fare una breve corsa, della cyclette o un’attività simile, per un tempo compreso fra i 5 e i 10 minuti.
  2. Muovete le articolazioni dell’area su cui andrete a lavorare e di quelle adiacenti per 3-4 minuti.
  3. Occasionalmente potete eseguire alcuni esercizi con carichi leggeri che implichino la contrazione dei muscoli che in seguito allungherete. Ad esempio, se dovete allungare i pettorali, fate prima alcuni piegamenti sulle braccia a terra o contro una parete.

 

Il riscaldamento passivo, per esempio fare una sauna prima dell’allenamento, non sembra essere il miglior modo di riscaldarsi, né quello più efficiente. È vero che la temperatura esterna influisce sull’ottimizzazione delle sessioni di stretching, ma il vero riscaldamento deve venire dall’interno del corpo. Fare alcune ripetizioni di flessioni o distensioni di un’articolazione migliora la qualità di un esercizio per la flessibilità.

 

Siamo giunti così al momento dello stretching ed è ora che arriva uno dei consigli più importanti di questo libro: l’allungamento deve essere dolce e controllato, portato al punto di resistenza desiderato e lì mantenuto per alcuni secondi. Bisogna evitare di molleggiare, di effettuare movimenti balistici (l’atto di “lanciare” un arto, che potrebbe ledere alcune strutture) e di sottoporsi a sforzi eccessivi e dannosi. L’aiuto di un compagno può essere molto utile, ma questi deve sapere ciò che fa e non forzare il corpo, evitando di superare i limiti del movimento naturale. La respirazione deve essere lenta e ritmata e l’espirazione deve avvenire generalmente durante l’allungamento, in modo da distendere la colonna grazie all’aumento della pressione intratoracica-addominale. Il corpo, e in particolare la parte che viene allungata, non deve essere sottoposto a tensioni eccessive. Questo spiega il motivo per cui alcuni atleti si infortunano sottoponendosi a bruschi allungamenti a fine allenamento, senza che sappiano capacitarsi di come abbiano fatto a infortunarsi “se erano riscaldati”.

Cosa possiamo suggerire alle persone sedentarie che decidono di fare stretching per migliorare la propria salute fisica?

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Un buon consiglio è di rafforzare prima il corpo, vale a dire sviluppare un determinato livello di forza, e solo in un secondo momento cominciare ad allungarsi, continuando al contempo ad allenare la forza. Per quanto riguarda un periodo di inattività che segue uno di allenamento, si tratta di un argomento delicato che non viene trattato nello stesso modo in tutte le discipline. Un atleta di resistenza che si trovi ad affrontare un periodo di inattività e che poi intenda ricominciare ad allenarsi noterà come la propria performance risulti peggiorata, sia in termini di velocità sia in termini di resistenza. Non sussistono però problemi più gravi di questo, poiché il corpo e la resistenza aerobica sapranno come regolarsi.

 

Nel caso dello stretching, così come per l’allenamento di forza, si corre invece il rischio di volere ritornare troppo velocemente ai livelli a cui si era abituati prima  dell’inattività, e la frustrazione dovuta al tempo perso potrebbe esporre al rischio di infortuni. Non bisogna abbandonarsi al rimpianto o alla “disperazione”, ma fissare in modo intelligente piccoli obiettivi che presto riporteranno alle performance desiderate. Se l’inattività non è durata troppo a lungo sarà più facile recuperare piuttosto che ripartire da zero e anche se la fase di ripresa potrebbe sembrare eccessivamente lunga, non è così. C’è però un’ulteriore difficoltà, soprattutto per i principianti: riconoscere la differenza tra il dolore e il fastidio. Il primo causa una sensazione acuta e insopportabile,  mentre il secondo corrisponde più alla sensazione di allungamento caratteristica dello stretching. Il dolore non cessa quando si scioglie la postura, mentre il fastidio è solito sparire non appena si raggiunge la concentrazione sufficiente per sopportarlo.

 

Tipologie di stretching

 

Per allungarsi efficacemente è necessario conoscere diversi metodi, in modo da potere scegliere il più adatto al proprio livello e agli obiettivi che ci si è posti. Spenderemo qualche parola per lo stretching statico, lo stretching dinamico e il PNF, ma entreremo nel dettaglio solo dei due metodi che sono stati scelti per la loro efficacia e semplicità.

 

  • Stretching statico. È chiamato anche stretching passivo, sebbene le due tipologie non siano del tutto equivalenti. Lo stretching statico consiste nel portare l’articolazione vicino al suo limite di mobilità per poi mantenere la posizione per alcuni secondi. Si tratta di uno degli allungamenti più semplici ed efficaci e può essere suddiviso in due categorie:

 

  • Stretching attivo statico: quando chi fa stretching esercita, attraverso l’aiuto degli altri gruppi muscolari, la forza richiesta per mantenere la posizione. Non è il più efficace, dal momento che per alcune parti del corpo non è facile mantenere la giusta tensione e questo è il motivo per cui spesso è preferibile l’allungamento passivo statico, illustrato di seguito. - Stretching passivo statico: quando una macchina o un’altra persona aiuta a mantenere la posizione di allungamento. Va eseguito seguendo i passaggi qui elencati:
  1. Allungatevi lentamente fermandovi prima di raggiungere la soglia di dolore.
  2. Mantenete la posizione per circa 20 secondi.
  3. Riposate per 20-30 secondi (in questa fase potete allungare un altro gruppo muscolare, preferibilmente quello antagonista).
  4. Ripetete la sequenza 3 o 4 volte.

 

  • Stretching dinamico. Come suggerisce il nome, si tiene una parte del corpo in movimento controllato fino a raggiungere il limite. Si tratta di un tipo di stretching riservato quasi sempre a quelle pratiche sportive che richiedono un eccellente controllo della mobilità (gli esempi più frequenti sono le arti marziali e la danza). Ad ogni modo, questo tipo di stretching deve essere praticato solo da persone con un determinato livello di allenamento e controllo dei movimenti, mai dai principianti. Anche lo stretching dinamico può essere suddiviso in due categorie:
  • Stretching esplosivo o balistico: quando si utilizza la forza di inerzia per portare l’articolazione oltre il suo normale

range di movimento. È potenzialmente lesivo e va perciò generalmente evitato.

- Stretching guidato: si effettua un movimento ampio, ma costantemente controllato.

  • PNF (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation). Il PNF, chiamato talvolta anche isometrico, si deve probabilmente

agli autori statunitensi Kabat, Levine e Bobath (è infatti conosciuto anche come “Metodo Kabat”), che fecero grandi progressi con questa tecnica. Poiché si tratta di un metodo un po’ più complicato degli altri, è adatto solo a persone esperte e non ai principianti. Va eseguito seguendo i passaggi qui elencati:

 

  1. Iniziate con un leggero stretching fino a raggiungere una sensazione di fastidio.
  2. Contraete in modo isometrico il muscolo in allungamento per 6-8 secondi.
  3. Rilassate la contrazione per 2-3 secondi ma senza cambiare posizione.
  4. Aumentate un po’ il grado di allungamento e mantenete la nuova posizione per circa 10 secondi.
  5. Contraete il muscolo e ripetete la sequenza un’altra volta o due.

Se eseguito correttamente, si tratta di un buon metodo di stretching. È molto simile alla Tecnica di Michell, dove, partendo da una posizione di allungamento muscolare, vengono eseguite contrazioni isometriche, seguite da una fase di rilassamento.

 

Al termine di ogni contrazione si incrementa l’allungamento nel tentativo di raggiungere un nuovo limite.

 

Stretching intelligente

Anche se ai principianti potrebbe non sembrare ovvio, negli esercizi di stretching il muscolo è tutt’altro che passivo. Quando si allunga un muscolo, esso reagisce nel verso opposto, per sorreggere l’articolazione; questo è di per sé un meccanismo naturale, necessario e molto importante per evitare traumi nella vita quotidiana. Se si aggiungono rimbalzi, oscillazioni o strappi questa reazione riflessa si accentua, rendendo l’esercizio più difficile. Questo riflesso, noto come “riflesso miotatico”, è incredibilmente utile ed evita che un’articolazione arrivi al limite e si rompa accidentalmente. È talmente potente che in alcuni casi potrebbe addirittura slogare un’articolazione.

 

 Un esempio evidente è quello che a volte accade negli incidenti automobilistici, specialmente se improvvisi e inaspettati. Quando un’auto impatta, il corpo di chi si trova nell’abitacolo si contrae come meccanismo di difesa. La maggior parte delle articolazioni torna al proprio stato naturale nel giro di pochi secondi, ma alcune, come quelle del collo, possono subire uno strappo muscolare così forte da produrre una distorsione cervicale. Questa enorme tensione è facilmente comprensibile se pensiamo all’importanza delle strutture che da essa vengono protette: la testa e il collo che la sorregge. Un allungamento intelligente deve essere controllato, dolce e continuativo. Sebbene siano i veri protagonisti, i muscoli non sono i soli a venire allungati. L’intera struttura articolare viene allenata. Vi sono studi che confermano che alcuni muscoli possono essere allungati fino a quasi due volte la loro lunghezza senza subire traumi, mentre altre strutture non sono così facilmente deformabili.

 

L’ampiezza di movimento delle articolazioni, dunque, dipende da un complesso equilibrio tra stabilità e mobilità. I legamenti, le fasce muscolari, le capsule articolari e in particolare i tendini possono essere danneggiati durante gli esercizi di allungamento. Quando una di queste strutture viene allungata fino a superare la propria soglia di resistenza, può subire danni, come avviene nel caso delle slogature. Lo stretching intelligente porta l’articolazione vicino al suo limite, perciò è normale avvertire un po’ di disagio mentre lo si pratica. Quando però il disagio si trasforma in dolore significa che forse quel limite è stato superato e che si potrebbe essere vicini a un trauma. All’estremo opposto troviamo il caso di un’articolazione eccessivamente rilassata, i cui movimenti vengono spinti oltre i normali limiti con apparente facilità. Come sempre la virtù e l’equilibrio stanno tra i due estremi. Nell’allungamento, dopo 3 o 4 secondi la tensione cala parzialmente (la posizione diventa più piacevole senza che ci si sia mossi) e questo è un buon segno, che dimostra che si sta lavorando bene.

 

Uno stretching poco intelligente è quello che forza un’articolazione oltre le sue capacità, che crea rimbalzi, o che porta un muscolo a mantenere una posizione pretendendo allo stesso tempo di allungarlo (ad esempio: “Dalla posizione eretta, flettete il tronco mantenendo le ginocchia diritte e cercate di toccare il pavimento”).

 

In conclusione, è importante evidenziare un altro fattore determinante per la buona riuscita dello stretching: la concentrazione. Se essa è necessaria in molte pratiche sportive, nello stretching riveste un ruolo cruciale. Chi esegue un esercizio di stretching deve concentrarsi sull’area in allungamento e non può perdersi in conversazioni con i compagni o farsi distrarre dalla televisione. Chi perde la concentrazione difficilmente raggiungerà il punto ottimale di allungamento e dunque la sessione di stretching risulterà ben poco utile; allo stesso modo, se si eccede si corre il rischio di infortunarsi.

Per potersi concentrare è necessario, infine, avere qualche conoscenza di anatomia in modo da riuscire a sentire l’allungamento dei muscoli.

 

 

Enciclopedia dello stretching