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DCA: DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Alimentazione, fitness e salute degli autori Marco Neri, Alberto Mario Bargossi e Antonio Paoli ci mostra i significati di DCA, vediamoli insieme.
Alla luce di molte affermazioni contenute in questo libro, è volontà degli autori convincere i lettori che l’alimentazione non è e non può essere un mero calcolo matematico. Le influenze ormonali, metaboliche, caratteriali, e quindi psicologiche, sono determinanti. Il circolo stress-sovrappeso e compensazione nel cibo è infatti conosciuto da tempo.
Fino a poco tempo fa il problema era rivolto essenzialmente al sovrappeso, ma in verità con il termine DCA si valutano i Disturbi del Comportamento Alimentare, comprese le situazioni di anoressia/bulimia. Negli anni passati si pensava che alla radice di queste problematiche ci fosse solo un’eccessiva preoccupazione per il peso, derivata in gran parte dagli ideali “sociali” imposti dai media (come la moda). Le primarie categorie “a rischio” venivano infatti individuate in ballerine e modelle. Un altro dato, ancora oggi confermato, era che gli adolescenti sono quelli che più facilmente possono innescare un disturbo alimentare in seguito a un regime dietetico restrittivo. Il meccanismo analizzato era quindi legato al bisogno di mettersi a dieta e a quale motivazione si nascondeva dietro a questa domanda.
Solo in un secondo tempo si è iniziato a evidenziare come si presentasse in molti casi l’alternanza di ferree restrizioni e momenti di alimentazione smodata ed esagerata. Un dato di fatto è che sia “normali” persone a dieta e sia quelle che soffrono di un disturbo alimentare manifestano la stessa tendenza ad alternare (con periodizzazioni diverse) periodi di restrizione con altri di ritorno a diete quantitativamente e qualitativamente esagerate, spinte, chiaramente, da motivazioni emozionali e/o senso di colpa.
Le caratteristiche comuni fra chi manifesta problemi di DCA sono:
- bassa autostima;
- insoddisfazione per il proprio corpo;
- mancanza di riconoscimento dei segnali interni;
- elevata emotività.
Le distorsioni cognitive, l’irrazionalità e il pensiero dicotomico riguardo al cibo contraddistinguono sia il soggetto a dieta ipocalorica sia la persona con disturbi alimentari. Va però sottolineato come non tutte le persone che si sottopongono a una dieta sviluppano un disturbo dell’alimentazione: chi passa da una dieta a un disturbo alimentare è affetto da una maggiore sintomatologia psicologica, un disagio, e, nei casi di anoressia nervosa, ha precedentemente sperimentato situazioni simili alla depressione e/o situazioni di vita particolarmente stressanti.
Nella nostra società è opinione comune che “tutti possano modificare il loro peso con un po’ di forza di volontà”. Questo ha però contribuito all’abbassarsi dell’autostima in quei soggetti che non riuscivano a ottenere risultati apprezzabili o ad attenersi a regimi alimentari spesso pesantemente restrittivi o psicologicamente mortificanti. Ormai, comunque, “fare una dieta” è diventato un rituale sociale positivo, un segno di distinzione, di autocontrollo e di forza di carattere.
14.1 DIETA E INDUSTRIA ALIMENTARE
Forti responsabilità nella gestione di queste problematiche si possono individuare anche nell’industria alimentare e nella ristorazione collettiva. Sempre più spesso non si ha tempo di cucinare in casa e in molti consumano i pasti sul luogo di lavoro; questo ha rivoluzionato, nel giro di pochi anni, il modo di alimentarsi e la concezione stessa del pasto. Da una parte c’è il problema che i giovani crescono senza il “rito” della scelta e della preparazione dei cibi, non ne conoscono il valore qualitativo nutrizionale e tantomeno la qualità e l’aroma derivati da genuinità, freschezza e tipicità.
Esiste però anche una contraddizione difficilmente superabile tra gli interessi del consumatore di prodotti alimentari di fonte industriale e gli interessi stessi dell’industria alimentare.
14.2 LA PALATABILITÀ DEI CIBI
Più il sapore è gradevole (palatabilità) più il consumatore tenderà a usare (o abusare) di quell’alimento, indipendentemente dalla qualità e dal valore nutritivo. Scatta quindi la corsa a rendere massimamente gradevoli gli alimenti con l’uso di grassi (magari saturi e idrogenati), aromi e coloranti; infatti, anche l’occhio, come il naso, contribuisce al sapore e alla gratificazione.
Non dimentichiamo che il cibo assume una valenza compensativa e la soddisfazione orale che procura è una vera e propria azione psico-umurale. Maggiore è la gratificazione ricavata da sapori forti e maggiore è la reiterata ricerca degli stessi. Tale rapporto è ulteriormente confermato dal fatto che bambini che non hanno mai incontrato sapori forti (molto dolci o bibite o cibi da fast food) non ne sentono il minimo bisogno, ma una volta provati è sempre più difficile allontanarli dal consumo. Spesso ci si riesce solo con l’attaccamento a uno sport ben educato nelle valenze salutistiche e con forti sane abitudini alimentari in famiglia. Questo paradosso fra interessi educativi sociali e interessi dell’industria è evidentissimo negli Stati Uniti, una società che, come la nostra, impone di essere magri per essere di successo, ma poi propone con pubblicità accattivanti e colori attraenti nuove merendine farcite. Non a caso, gli Stati Uniti sono il paese che investe di più in informazione scolastica sull’igiene alimentare e allo stesso tempo è quello con il più alto numero di obesi adulti e giovani. Tutto lo sforzo dell’amministrazione viene vanificato dalle alettanti pubblicità di cibi accattivanti e dai sapori coinvolgenti.
14.3 COSA FARE NELLA PRATICA QUOTIDIANA?
Innanzitutto, una corretta informazione. Siamo infatti convinti che non solo gli studi medici, ma anche le palestre e ancora di più le scuole debbano essere luoghi dove si inizia a “capire” il cibo , le sue valenze, la sua cultura e il suo utilizzo. Sarebbe eccellente potere insegnare la qualità, la ricerca della freschezza e dei sapori originali e non artefatti, ma è comunque basilare insegnare a leggere le etichette, capire cosa è più “funzionale” e apprendere a fare scelte consapevoli. Laddove le etichette non ci siano, occorre avere una conoscenza di base sulle caratteristiche di alcuni alimenti, sui metodi di cottura e sui condimenti (spesso grandi colpevoli dell’eccessiva palatabilità). Se non si appartiene alla schiera delle persone “mangio ciò che voglio e non ingrasso” si crea un altro paradosso, dove l’utente acquista gli alimenti “incriminati” ma si sente in colpa, quindi il loro consumo viene vissuto come una mancanza di forza di volontà. Occorre quindi una forte consapevolizzazione, dal momento che il divieto assoluto di un alimento può diventare automaticamente un invito “irresistibile”. Molto meglio creare cultura e informazione, anziché frustrazione; i tempi saranno più lunghi, ma i risultati saranno più duraturi, perché si andrà verso una consapevolezza più matura del consumo.
14.4 STILE DI VITA
Come già emerso, le influenze socio-culturali delle connessioni fra cibo, peso e società sono fitte e molteplici e influenzano direttamente i nostri stili e ritmi di vita.
Dalle statistiche emerge che la maggioranza del tempo libero, soprattutto di bambini e adolescenti, sia dominato da computer, videogiochi e televisione. Nello studio dell’obesità infantile si è riscontrata una relazione incredibile tra le ore passate davanti alla tv e la percentuale di sovrappeso. Ormai è assodato e confermato da pedagoghi e sociologi che la televisione può essere un mezzo che mette in crisi le relazioni familiari, impedisce la lettura, stimola l’aggressività e facilita il consumo di junk food (cibo spazzatura). Ora si inizia a temere anche l’aspetto passivizzante della televisione, particolarmente sui più giovani, che sono troppo presi dalle immagini messe in onda e che si distaccano sempre più dalla realtà che li circonda e da se stessi. Si crea così un mondo falso dove realtà e fantasia non vengono più distinti e a volte la “verità” del media supera la realtà.
La riflessione sul rapporto tra abuso della televisione e difficoltà nella gestione del cibo può tornare utile nel tenere presente che i giovani, soprattutto i bambini, a causa di questo graduale allontanamento dalla realtà non riescono a distinguere tra messaggi interni ed esterni a loro. Non riuscendo più a cogliere con chiarezza i bisogni del proprio corpo, e non avendo la forza e la consapevolezza sufficienti per difendersi da una martellante induzione di bisogni da parte dei media, finiscono con il vivere una nuova forma di alienazione, anche nell’intimità e/o nella solitudine della propria casa e della propria famiglia. La società dell’informazione mette sempre di più i media tra l’uomo e la sua esperienza.
Analoga, se non peggiore, la valutazione dei videogiochi, in cui il bambino adolescente si perde e si spersonalizza. Anche essi possono essere infatti un mezzo di isolamento; troppo spesso, infatti, i genitori danno ai bambini i videogiochi quando non vogliono essere disturbati e così, anziché giocare fra loro, si isolano in questa realtà virtuale che è una vera e propria dipendenza.
Tutto questo non significa che tv e giochi elettronici vadano aboliti, ma che occorre apprenderne il corretto uso, senza mai dimenticare la valenza educatrice dell’esperienza.
14.5 DIFFICILE RAPPORTO CON IL CIBO
I più importanti e i più diffusi fattori che facilitano comportamenti alimentari scorretti e promuovono un cattivo stato di salute sono:
- prima colazione assente o carente;
- spuntino mattutino assente o eccessivamente pesante;
- pranzo scarso e frettoloso;
- cena abbondante;
- spuntino dopo cena;
- scarso consumo di frutta e verdura;
- abuso di bibite e prodotti confezionati;
- abitudine a cibi da fast food, fritti e conditi con salse;
- tendenza ad alimentarsi davanti alla televisione e per noia.
A proposito di noia, è da sottolineare come intervistando persone a regime controllato venga fuori come la domenica, soprattutto se invernale e piovosa, sia il giorno più difficile da gestire con alimenti sani. Contemporaneamente, è tipico dei bambini assumere l’atteggiamento, troppe volte ereditato dai genitori, che all’accensione della tv dopo poco scatti il “bisogno” di sgranocchiare qualche cosa. In questo modo si perde sempre più la capacità di distinguere la fame biologica vera e sana da quella dettata semplicemente da “abitudine, noia e riflesso condizionato”. Uno studio degli anni ’90 mise in correlazione il grado di sovrappeso delle famiglie americane con il numero di auto, televisioni, computer e videogiochi posseduti.
È impressionate vedere come la correlazione sia diretta. Una nota va fatta anche sui momenti in cui più facilmente ci si lascia andare a comportamenti alimentari scorretti o “estremi”. Normalmente si è portati a consumare cibo come valenza di socializzazione (nella nostra società è tipico vedersi “per mangiare qualcosa”). Gli anoressici/bulimici in questi contesti riescono spesso a camuffare la loro patologia in diversi modi, ad esempio ordinando per poi non consumare, oppure mangiando per poi rigettare quasi immediatamente.
La fase del disordine alimentare, a volte non ancora sfociato in una anoressia/bulimia, è spesso caratterizzata dal riuscire a controllare l’assunzione di cibo ogni qualvolta si è in compagnia (anche perché questo accresce la propria autostima, aumentata dalle tentazioni che i compagni quasi sempre attuano − “Ma dai, mangia, cosa vuoi che sia un pezzetto”− oppure da coccole di stima – “Ma sei proprio brava/bravo a stare così a dieta, io non ci riuscirei mai”). Tutto questo è un mettersi alla prova, dare una (desiderata) positiva immagine di sé e convincersi di essere confacenti a un modello sociale. Purtroppo, questo castello di apparenze è destinato a crollare nel momento in cui la persona si ritrova da sola, magari di fronte alla propria solitudine/angoscia e alla tentazione di un frigorifero o una dispensa ben fornita.
Quando inizia la compulsione bulimica, non si percepiscono più neppure i gusti e si mangia di tutto, senza razionalità e con abbinamenti improbabili.
Questo autolesionismo può sfociare successivamente nella patologia più acuta, con rigetto di quanto mangiato, oppure più semplicemente con la rassegnazione (e relativo colpo basso all’autostima) e il ritorno a una vita alimentare disordinata e relativa ripresa del peso corporeo perso.
Per questo motivo la consapevolezza e l’avvio verso un programma completo è l’unica strada percorribile, una strada che non è quindi un mero calcolo di calorie (nella maggioranza dei casi inefficace), ma un percorso di consapevolezza con tutte le dovute concessioni del caso.